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Articolo pubblicato il 14 Ottobre 2020 Tempo di lettura: 2 minuti

Siamo tutti d’accordo ormai nel sostenere che l’introduzione e la diffusione capillare dello smart working sia stata una delle novità più dirompenti che la pandemia da Covid-19 ha introdotto nel mondo del lavoro. È ora di chiedersi, però, se questa eredità lascerà un segno profondo nelle nostre organizzazioni o se invece verrà liquidata in poco tempo. Sarà proprio il lavoro “agile” – nella versione italiana (qui tutte le differenze con il telelavoro) – la nuova normalità?

Alcuni dati

Secondo un recente studio della rivista Morningstar (con focus sugli Stati Uniti), la risposta è no. Non sarà la nuova normalità perché quote consistenti di lavoratori statunitensi torneranno a lavorare in ufficio. Entro il 2025 è infatti previsto che solo il 13% degli occupati americani lavorerà da casa. Un aumento considerevole rispetto ai livelli pre-Covid, ma non così importante da configurare un modello organizzativo irrinunciabile. Tra le ragioni per cui non è certo che lo smart working si diffonda così capillarmente, vi sono il numero e il tipo di mansioni remotizzabili, la disponibilità delle aziende a concederlo e la stessa volontà del dipendente ad accettarlo. In sintesi, il lavoro agile non è per tutti e di conseguenza non tutti accederanno in futuro a questa nuova modalità di lavoro.

Diversi e contrastanti invece i risultati di un recente sondaggio di AIDP (Associazione Italiana dei Direttori del Personale), secondo cui per il 58% dei manager italiani l’applicazione dello smart working proseguirà anche nel 2021, per quote di dipendenti coinvolti che vanno dal 50 fino a oltre il 90% del totale della forza lavoro. Coloro che invece dichiarano che l’esperienza del lavoro a distanza terminerà entro l’anno sono il 26%. La forma ibrida è quella più apprezzata dalle aziende (oltre il 70%). Per quanto riguarda la ripartizione tra lavoro da casa e lavoro in ufficio: 2-3 giorni in media a settimana verranno svolti in modalità smart working. Ad oggi, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano stima in 4 milioni i lavoratori che prestano la loro attività principalmente da remoto – contro un picco, durante il lockdown, di ben 6 milioni di “smart worker”.

I vantaggi più apprezzati dai direttori del personale sono ormai noti: risparmio di tempo e costi di spostamento per i lavoratori, maggiore soddisfazione della forza lavoro e miglioramento dell’equilibrio tra vita privata e professionale, oltre che una marcata responsabilizzazione individuale. Conosciamo e abbiamo anche sperimentato gli svantaggi: minore socializzazione e scambio di interazioni sul luogo di lavoro, sovrapposizione tra sfera domestica e professionale, rischio workload eccessivo.

Leggendo i numeri e interpretando le intenzioni dei direttori HR delle maggiori aziende italiane, possiamo affermare dunque che lo smart working è qui per restare. A rafforzare questa convinzione contribuisce anche la proroga della scadenza delle procedure semplificate fino al 31 gennaio 2021, intervenuta con il recente DPCM del 13 ottobre, per cui sarà ancora possibile adottare la modalità di lavoro agile senza siglare un accordo individuale con i lavoratori.

Le sfide digitali per l’HR

Ma quali potranno essere le caratteristiche di questo ricorso strutturale e ragionato delle organizzazioni alla modalità agile? E, soprattutto, come può la tecnologia digitale moderna aiutare la funzione HR – soggetto deputato a governare i processi di riorganizzazione del lavoro post pandemia?

Sappiamo che l’introduzione dello smart working può essere volano di un cambiamento culturale nell’organizzazione del lavoro, garantendo maggiore autonomia ai lavoratori nel decidere spazi e tempi della prestazione e imponendo una valutazione sui risultati, non più sui comportamenti. Sono diverse quindi le attività HR sollecitate che devono essere ripensate dal management alla luce delle implicazioni tecnologiche che comporta lo smart working: dalla valutazione delle performance, alla formazione di capi e lavoratori, fino al diversity management (in quanto l’introduzione “smart” è negoziata individualmente secondo preferenze, condizioni personali e mansioni).

In conclusione, viene suggerito da più parti di dotarsi di un moderno software per la gestione delle risorse umane per poter consentire alle persone di lavorare da remoto senza difficoltà, con strumenti che agevolino la comunicazione e lo scambio di informazioni.

L’azienda deve garantire che queste comunicazioni e trasferimenti di dati avvengano con modalità sicure e tracciate; utilizzare ad esempio la mail per inviare documenti, non solo rallenta il processo, ma è poco sicuro, genera problemi di mantenimento di allineamento delle informazioni e se si tratta di dati personali si rischia una violazione delle direttive del GDPR; il laptop dei dipendenti collegati da casa non è uno spazio di archiviazione sicuro: può rompersi, può essere rubato. Nessuna informazione personale, riguardanti i dipendenti, dovrebbe essere archiviata nel disco locale di un laptop.

Noi di Wospee siamo nati “digitali”, è prassi per noi lavorare da remoto e supportare con le più moderne tecnologie i nostri clienti, in modo sicuro e con benefici evidenti per tutti.

Occupandoci di servizi per le risorse umane, abbiamo scritto diversi articoli sul tema smart working e organizzato anche un webinar (clicca qui per rivederlo) in cui abbiamo cercato di spiegare come in questa fase delicata gli strumenti tecnologici giusti possano veramente aiutare a ottimizzare la gestione operativa del personale.

Vi lasciamo con altri suggerimenti dal nostro blog per approfondire l’argomento della digitalizzazione del lavoro:

La consulenza del lavoro ai tempi del digitale

Una piattaforma HR digitale al servizio di tutti i dipendenti

Come gestire le presenze dei dipendenti da remoto?

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